Osserva Suh, che “nella storia della Chiesa si sono spesso verificate rivelazioni private, legate a momenti particolari o difficili. Esse costituiscono una realtà importante della vita ecclesiale, nonostante le rivelazioni private non siano abitualmente prese in considerazione nei vari ambiti della teologia”. Paradossalmente, osserva Laurentin, le apparizioni hanno un’importanza materiale considerevole che interessa un ampio movimento di folla, ma lo statuto circa tale fenomeno è tra i più umili.
Ad interessarsi per la prima volta delle apparizioni in modo organico fu il Concilio Lateranense V del 1516 che approvò misure restrittive riguardo apparizioni e rivelazioni, allo scopo di proteggere la Chiesa e la fede dalla incontrollata proliferazione di visioni in quell’epoca oscura. Il Concilio di Trento nel 1563 rinnovò il giudizio ristretto del Concilio Lateranense estendendolo anche alle immagini “prodigiose”. Papa Benedetto XIV, nel XVIII secolo, definì in maniera più formale lo statuto delle apparizioni relativizzando il loro valore e stabilendo la precisa funzione del Magistero della Chiesa in questo campo. Egli indica due inequivocabili principi: a) l’autorizzazione data dalla Chiesa non è altro che il consenso affinché la rivelazione sia conosciuta per l’edificazione dei fedeli; b) alla rivelazione privata non può essere dato un assenso di fede cattolica, ma solo di fede umana.
La posizione di Benedetto XIV non è sostanzialmente cambiata fino ai nostri giorni. Non esiste infatti una vera legislazione relativa alle apparizioni, perché non ne parla né il Codice di Diritto Canonico del 1917, né quello del 1983. Oggi, pertanto, si segue da parte dei vescovi e della Sede Apostolica una prassi legata alla consuetudine che consiglia, in caso di presa in considerazione delle apparizioni, di: a) eseguire un esame completo ed accurato dei fatti; b) appurare la conformità dei messaggi all’insegnamento della Chiesa; c) constatare la trasparenza degli eventi, per cui l’apparizione è un servizio reso alla Chiesa e non può causare protagonismo nei veggenti o la nascita di riti bizzarri; d) esaminare se ci sono dei segni con i quali Dio conferma il suo operato; e) accertare la salute mentale e la patologia dei veggenti attraverso una commissione di medici e psichiatri; f) vedere se i veri frutti sono quelli della conversione e del ritorno a Dio; g) riconoscere, a giudizio del Vescovo, la provenienza soprannaturale o meno dei fatti.
Quando la Chiesa approva le apparizioni è perché esse non contrastano la fede e la morale e manifestano indizi che permettono di aderirvi con un assenso non di fede ma umano, fondato su una personale valutazione critica. Se esse si allontanassero da Cristo e si presentassero come un migliore disegno di salvezza, diverso e più importante del Vangelo “norma normans” della fede, per cui la Chiesa si troverebbe nella impossibilità di autenticarle come “rivelazioni private”, non vengono certamente dallo Spirito Santo e non sono opera di Dio.
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